Sottoregno: Tracheobionta
Superdivisione: Spermatophyta
Divisione: Magnoliophyta
Classe: Magnoliopsida
Sottoclasse: Rosidae
Ordine: Rosales
Famiglia: Rosaceae
Genere: Rubus
Le more, ovvero il frutto dei rovi, pianta però infestante fra le più inospitali che prolifica a quote medio basse, pronta a invadere campi e boschi lasciati incolti, scombinando col caos naturale l’equilibrio e l’ordine faticosamente conquistati dalla mano dell’uomo. La sua irruenza vitale è fatale per quasi tutte le altre specie del sottobosco. Eppure i suoi fiori e frutti dolcissimi sono essenziali per la sopravvivenza di svariate specie d’insetti, uccelli e piccoli animali. Incontrare le more sul finire dell’estate, lungo qualche sentiero di media montagna, quando tutto attorno annuncia che la festa sta per finire e che presto arriveranno i giorni duri dell’inverno…
More – Rovo comune – Rubus ulmifolius Schott – Rubus dal latino: rovo. Tra i Sinonimi ritroviamo il Rubus fruticosus L.
Fiori: fiori rosati, in grappoli, che sbocciano in estate; sono formati da cinque petali Caratteristiche: arbusto suffruticoso che può arrivare a due metri di altezza. I fusti sono di tipo sarmentoso, coperti da sottili spine. Le foglie sono composte da 3-7 foglioline dentate, più chiare sulla pagina inferiore, solcate da evidenti nervature segnate da sottili spine. I frutti sono globosi, nero-blu, formati da drupeole carnose raccolte su un ricettacolo che è la vera e propria mora. Sapore dolce a completa maturazione.
Cominciano ad annunciarsi in primavera, lungo le siepi e nei luoghi incolti, con una delicata fioritura di corolle bianco-rosate, del tutto simili a minuscole rose a cinque petali che sembrano modellate nella porcellana o ritagliate in una seta quasi iridescente. Poi, i lunghi rami sarmentosi del Rubus si coprono di foglie composte da tre foglioline, un po’ ruvide, dentellate, e il tutto forma una intricata matassa irta di brevi, ma pungentissimi aculei. È soltanto nella tarda estate, quando il bosco perde i più accesi colori dei fiori e già si avverte nell’aria un primo sentore di foglie morte, di muschio intriso di umidità, il primo alito dell’autunno che sta per giungere, è allora che il rovo propone la sua preziosa offerta. È tempo di raccogliere le more, nere o blu-viola che siano, dolcissime o leggermente asprigne, ma sempre gradevolissime e salutari.
Alcuni reperti fossili risalenti a due millenni prima di Cristo dimostrano che i frutti dei rovi venivano raccolti e portati presso gli insediamenti umani, con il probabile scopo di conservarli, in qualche modo, oppure di farli fermentare per ottenere una bevanda, una pozione o chissà che. Quella che è certa è la documentazione storica fornita da Eschilo (525-456 a.C.) il nobile poeta ateniese autore delle più importanti tragedie della letteratura greca, preciso cronista della vita e degli usi del suo tempo. Altrettanto importanti le annotazioni di Ippocrate (460-377 a.C.), medico ellenico il cui giuramento viene ancora oggi pronunciato dai giovani laureati in medicina e che rappresenta la base etica di questa professione. Ebbene Ippocrate, nella lunga serie dei suoi libri, annovera tra i frutti benefici alla salute anche le more. In seguito, il consumo di questi frutti si è andato estendendo, tanto più che il Rubus cresce allo stato spontaneo anche in Africa del sud, cosa che ha contribuito alla sua diffusione in tutto il continente nero e, in seguito, anche in Asia Minore.
Per quanto riguarda l’America, dopo l’avventuroso viaggio di Cristoforo Colombo si è verificato un incessante «scambio» di piante fra il Vecchio e il Nuovo Mondo, tanto è vero che da noi sono arrivati pomodori, patate, tabacco, mais, peperoni e così via, mentre varcavano l’Oceano verso ovest la vite, il ciliegio, l’arancio e molte altre specie, tra cui anche il rovo che oggi, lungo le coste degli Stati Uniti che si affacciano sul Pacifico, viene coltivato in enormi distese tale la richiesta di more sul mercato americano; non è detto, fra l’altro, che le more che oggi si acquistano dai nostri fruttivendoli non abbiano proprio quella provenienza. Certo si tratta di infruttescenze dal sapore ben diverso da quello delle more selvatiche, che hanno un profumo e una sapidità del tutto particolari e non facilmente definibili, se si considera che il genere Rubus conta parecchie centinaia di specie e di forme , moltiplicate dall’esistenza di ibridi nati spontaneamente dall’incrocio dei rovi che crescono lungo i sentieri di pianura, di collina e di montagna. Un numero di ibridi che, anno dopo anno si arricchisce di nuovi elementi apparsi attraverso l’ibridazione artificiale con l’intento di ottenere piante sempre più robuste e «resistenti» alle malattie, che producono infruttescenze sempre più grosse e succose, portate da tralci del tutto privi di spine e perciò più… rassicuranti da coltivare.
Tutta questa attività di incroci, impollinazioni e via di seguito, non incide sulla produzione spontanea che conserva le sue caratteristiche e, se mai, è messa in pericolo dal progressivo degrado del sottobosco a causa dell’incuria umana e dell’inquinamento atmosferico.Come conclusione, possiamo dire che, malgrado le lievi differenze di forma, colore e sapore delle more che nascono sul Rubus rispetto a quelle prodotte dai suoi ibridi, questi frutti meritano gli aggettivi che loro abbiamo attribuito – nutritivi, dissetanti, vitaminici – in quanto contengono ben il 10 per cento di zuccheri, l’85 per cento di acqua e una buona percentuale di vitamine A, B e C oltre a diversi minerali: potassio, calcio, fosforo, magnesio, etc. Per quanto riguarda le calorie, esse ammontano a 57 ogni cento grammi di more; il contenuto in grassi è dell’uno per cento. Ma è anche importante sapere che i frutti del rovo vantano altre proprietà. Infatti, essi si rivelano diuretici, disinfettanti dell’apparato intestinale, antiscorbutici e rinfrescanti. Inoltre, cotti nel latte forniscono un ottimo sciroppo contro l’infiammazione della gola.
Se poi si volesse chiedere ai rovi qualcosa in più, oltre le dolcissime more, basta raccogliere le loro foglie più tenere e metterle in infusione nell’acqua bollente; se ne ricava un tè dal sapore molto gradevole, dalla lieve azione sedativa.
Insomma, il Rubus sarà anche una pianta un po’ inospitale per via di tutte quelle spine, ma bisogna dire che sa farsi perdonare ed apprezzare con l’offerta delle sue invitanti, lucenti e scurissime more.