Erba betonica – Stachys officinalis (L.) Trevis.

Regno: Plantae
Sottoregno: Tracheobionta
Superdivisione: Spermatophyta
Divisione: Magnoliophyta
Classe: Magnoliopsida
Sottoclasse: Asteridae
Ordine: Lamiales
Famiglia: Lamiaceae
Genere: Stachys

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Erba betonica – Stachys officinalis (L.) Trevis. – La Betonica, o “Bettonica” o anche “Vettonica”, è una pianta erbacea officinale conosciuta fin dall’antichità. Venne così chiamata dagli antichi romani dal nome dei Bettones, o Vettones, una popolazione della regione iberica.

Fiori: rosa o porpora, in estate, riuniti in spighe terminali. Le singole, minuscole corolle hanno la forma di una fauce. Caratteristiche: erbacee perenni, alte da 30 a 60 centimetri. Fusti gracili, a sezione quadrangolare, foglie ovali, riunite a rosetta alla base della pianta, rade lungo il fusto. Lieve aroma. È specie diffusissima, apprezzata sin dall’antichità per una discreta azione terapeutica. Etimologia: dal greco stáckys, spiga, a indicare la disposizione dei fiori.

Gli Egiziani la ritenevano un’erba dalle proprietà magiche, i Greci e i Romani la impiegavano per curare una cinquantina di malattie e non rimane che restarne stupiti visto che l’assunzione di pozioni a base di betonica, o Stachys officinalis, può recare gravi disturbi. La sua radice, infatti, pur non essendo velenosa nel senso stretto della parola, oggi è considerata pericolosa e solamente un medico può prendersi la responsabilità di consigliarne l’uso. Evidentemente gli antichi conoscevano a fondo le caratteristiche delle erbe medicinali e riuscivano a dosarle in modo perfetto.

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A parte la prudenza che sconsiglia dal preparare tisane o decotti con la betonica, per il pericolo di coinvolgere nella preparazione anche la radice della pianta, vediamo di conoscere un po’ meglio questa specie un tempo così nota da aver determinato il diffondersi dell’allocuzione «è come la betonica», riferita alle persone che vogliono sempre apparire in primo piano ed essere presenti in ogni circostanza. L’origine della parola betonica o bettonica, come sarebbe più esatto, sembra risalire ai Vettones, un popolo ibero-celtico, forse particolarmente abile nell’utilizzare la Stachys officinalis. Questa, almeno, la spiegazione data da Plinio, ma che lascia qualche dubbio, mentre è certo che Stachys deriva dal greco stakhys, spiga, a causa della forma delle sue infiorescenze.

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Oltre alla betonica, nell’assortimento delle piante medicinali esistono la Stachys palustris e la Stachys sylvatica, note come urtia morta, erba strega, matricale ed erba giudaica. Sono simili alla Stachys officinalis, ma il loro impiego è meno diffuso. Ne sono invece ghiotte capre e pecore che se ne cibano probabilmente a scopo curativo date le loro proprietà calmanti; anche le api ricercano con avidità il nettare di queste due Stachys, mentre non mostrano eccessivo interesse per i fiori della betonica. Per completare le notizie su questo genere di piante, non rimane che segnalare la Stachys sieboldii, dalle strane radici color madreperla, commestibili, dal sapore molto gradevole.

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Ma ora torniamo alla betonica per precisare che essa vive nei terreni argillososilicei, nei luoghi prativi e un po’ ombrosi, sino a 1700 metri di altitudine. A parte la delicata bellezza delle spighe color rosa antico, o rosa-porpora, la betonica presenta un fusto molto singolare: esile, con poche foglioline, eretto e quadrato. Tutta la pianta emana un leggero odore amaro che si fa più intenso sotto il sole.
La parte aerea della Stachys officinalis (ripetiamo che la radice può causare gravi disturbi) si raccoglie in giugno-luglio e viene utilizzata come «vulnerario», per risolvere ascessi, contro gli attacchi di gotta e di reumatismo. Le foglie, essiccate e ridotte in polvere vengono mescolate al tabacco da fiuto sia per aromatizzarlo, sia per accrescerne il potere starnutatorio, con una benefica azione contro raffreddori e conseguente mal di capo. Opportunamente trattata, la betonica serve per preparazioni farmacologiche epatoprotettive, antitteriche, atte a facilitare la secrezione biliare, espettoranti ed emollienti, quindi adatte a curare le disfunzioni del fegato e della cistifellea, oltre alle forme bronchiali.  Nella betonica, questa graziosa, piccola pianta alta da 30 a 50 centimetri, si nascondono vari costituenti o princìpi attivi, in un assortimento davvero ricco di voci: acido tannico, stachidrina, betonicina, amaro, colina, betaina, una saponina, un glucoside, gomma, resina, olio essenziale. L’elenco non è completo, ma gli altri princìpi sono presenti in percentuali minime e perciò non influenti sul potere terapeutico della Stachys officinalis.
Abbiamo già accennato alla possibilità di aggiungere foglie essiccate al tabacco da fiuto, il cui impiego da qualche tempo sta ritrovando molti estimatori; è da notare che la betonica esplica una buona azione «antifumo» e si stanno studiando veri e propri medicamenti disintossicanti a base di Stachys officinalis per risolvere i casi di tabagismo.


I nostri vecchi usavano dire di persona impicciona e ficcanaso: è come l’erba betonica. L’allusione aveva riferimento sia alla frequenza della pianta tra gli altri vegetali sia al suo curare ogni male che la farmacopea popolare le attribuiva. A cominciare da Plinio che la cita nelle sue opere come pianta terapeutica per eccellenza e nel Medioevo giudicata rimedio infallibile persino per la rabbia e la paralisi, ancora la ritroviamo segnalata in Codici di ricette di piante officinali, dei primi dell’800, dove entra a far parte di molti medicamenti. La buona betonica, senza essere rimedio sovrano per ogni male, serve egregiamente nella cura dell’insufficienza epatica e biliare, nelle emicranie di origine nervosa, o come oggi si dice da “stress”, nelle vertigini e flatulenze dovute a digestione faticosa ed è anche un buon cicatrizzante delle piaghe  e delle ulcere varicose.


Conosciuto come la Betonica
• Molto noto, conosciuto da tutti, anche in senso negativo.
Essere come la Betonica
• Fig.: essere sempre in mezzo, detto di una persona che s’incontra ovunque o che si occupa di moltissime cose. Usato anche per un ficcanaso, per un maneggione, o per chi s’intromette dappertutto.